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Peter Sagan : il destino dei fuoriclasse.


foto: giroditalia.it

Sarà forse un caso che Peter Sagan, il talento slovacco, sia riuscito ad imporsi proprio nella tappa numero 10? Dieci, come il numero sulla schiena dei fuoriclasse del calcio, i predestinati, quelli da cui ci si aspetta la giocata, il colpo vincente, la mossa che nessuno si aspetta. Gli stessi che, però, su quelle spalle portano tutto il peso della responsabilità di essere ogni giorno all'altezza, al top della forma, come a dover dimostrare di esser sempre e ancora i migliori, soprattutto nei confronti della squadra e dei tifosi. Siamo davvero sicuri che, però, Sagan debba dimostrarci ancora qualcosa? Perchè qualcuno dovrebbe ancora mettere in dubbio la classe cristallina dello slovacco?

Indubbiamente, il suo ritorno alla vittoria ha giovato ad un Giro d'Italia che ha fatto parlare di sè soprattutto per le cadute, i ritiri, e (fortuna nostra) anche per le vittorie del super talento Filippo Ganna, capace di demolire la concorrenza a cronometro in maglia iridata e ad imporsi nella tappa con finale a Camigliatello Silano su un percorso all'apparenza non adatto alle sue doti. L'ultima vittoria di Sagan risaliva al 10 Luglio 2019 , quando riuscì a dominare nella volata di Colmar al Tour de France, su Van Aert e Trentin. 461 giorni a secco di vittorie, un numero impressionante per un atleta che ha saputo stupire non solo per aver tagliato il traguardo per primo 114 volte nella sua carriera, ma anche per essere stato in grado di competere ai massimi livelli e piazzarsi in ogni competizione a cui ha partecipato. Questa sua lunga lontananza dal gradino più alto del podio ha fatto però nascere nell'ambiente e nei tifosi una sorta di avversità nei suoi confronti. Tutto quanto di buono fatto in carriera sembra essere stato di colpo annullato da un anno non brillante, in cui tra l'altro ha inciso la riorganizzazione del calendario gare da parte dell'UCI. Le sue mancate vittorie, ad un certo punto, si sono trasformate in una colpa, un peccato mortale, tanto che sui social si è parlato di un atleta destinato a doversi ritirare. Sagan, dal canto suo, ha sempre dimostrato di interessarsi poco alle voci che lo davano per spacciato, non rispondendo mai alle critiche. Al Tour di quest'anno ha sfiorato la vittoria in varie occasioni, facendo lavorare la propria squadra in maniera perfetta (memorabile la settima tappa, in cui la Bora ha letteralmente disintegrato la concorrenza dei velocisti "nemici", sfruttando al meglio i ventagli), ma l'episodio che ha messo fine al sogno di vincere l'ottava maglia verde è stato il declassamento al termine dell'undicesima frazione, per una scorrettezza in volata ai danni di Van Aert (il dibattito è ancora aperto, ma l'episodio al Tour de Pologne che ha provocato il terribile incidente occorso a Fabio Jakobsen ha fatto scuola). Al Giro 2020 Sagan è arrivato senza porsi degli obiettivi (o almeno, senza dichiararli palesemente ai microfoni della stampa), nonostante una presentazione in pompa magna con un video di dubbio gusto, forse un po' ai limiti della teatralità ma che rientra decisamente nei canoni del suo personaggio, eccentrico e fuori da ogni schema. Ovviamente, da parte di tutti le aspettative erano alte, essendo questa la prima partecipazione di Sagan alla Corsa Rosa, ed in cuor suo Mauro Vegni, direttore della manifestazione, sperava che la punta di diamante della sua corsa potesse brillare, a maggior ragione dopo aver perso sin da subito protagonisti assicurati come Thomas, Yates e Lopez. A "rubare" il palcoscenico a Peter c'è stato però uno strepitoso Demare, capace di dominare fino alla nona tappa tutti gli arrivi in volata, con una squadra, la FDJ, al completo servizio del suo velocista, guidata magistralmente da un "lead out man" eccezionale come Jacopo Guarnieri capace di pilotare il francese in maniera ineccepibile alla vittoria.

La partenza della decima tappa si svolge in un clima surreale. Lo spettro del Covid si abbatte prepotente sul Giro, che dopo aver perso Yates, già risultato positivo al tampone, rimane orfano di due intere squadre, la Mitchelton e la Lotto-Jumbo. La Lanciano-Tortoreto parte comunque, ed è qui che Sagan decide di essere protagonista, facendolo "alla sua maniera". La lotta per la maglia ciclamino è ancora aperta, e la sfida Demare-Sagan incendia una frazione interessante, soprattutto per il finale mosso sullo stile di una classica. Sagan riesce ad entrare nella fuga giusta, ed è una fuga con nomi pesanti, tra cui Ganna, Swift e Clarke. Assieme a Cataldo, Villella e Restrepo, si forma un gruppetto in cui ognuno collabora per riuscire a resistere al ritorno del gruppo, guidato dalla Groupama di Demare determinata ad impedire a Sagan di prendere i 12 punti del traguardo volante. Nonostante le trenate dei suoi compagni, il francese è costretto ad alzare bandiera bianca, la fuga riesce ad andare e il gruppo si rialza. La gara prosegue senza grossi scossoni fino a quando sul finale esplode la corsa. Bilbao si stacca dal gruppo fino a rientrare sulla fuga, Swift e Sagan partono lasciando indietro tutti, ed è il momento in cui lo slovacco sente tutto il peso della responsabilità, la voglia di rivincita è troppa: è il momento giusto per cancellare tutte le occasioni perse nell'ultimo anno e dimostrare ancora una volta che l'iride sulle maniche della sua maglia non è lì per caso. Sull'ultimo strappo stacca di orgoglio un'ottimo Ben Swift. Il britannico nulla può contro questo attacco che fa tornare alla memoria quel Sagan di Richmond 2015, capace di vincere il suo primo campionato del mondo con un'azione in solitaria rimasta nella mente di tutti. La discesa, resa viscida dalla pioggia, è l'ultimo ostacolo da affrontare prima del traguardo, ma con grande esperienza anche questa difficoltà viene superata dallo slovacco che arriva da solo alzando finalmente le braccia al cielo.

Quanta rabbia c'era in quel gesto? Quanta voglia di rivincita? Tre volte campione del mondo per tre anni di fila (unico della storia a riuscirci), Fiandre, Roubaix, tre Gent- Wevelgem, sette maglie verdi al tour, e innumerevoli altre vittorie. Un palmares da fare invidia a molti, un personaggio fuori dalle righe che ha saputo riavvicinare la gente al ciclismo, con il suo modo di fare scanzonato, senza mai prendersi troppo sul serio ("Why so serious" il suo motto da sempre), dimostrandoci che lo sport dovrebbe essere così, competizione ma anche rispetto, disponibilità verso i tifosi, eccentricità, agonismo unito a voglia di far divertire. Nel post gara, le parole di Sagan riassumono tutti i suoi anni di professionismo. Alla domanda "come hai vinto" risponde : " Ho vinto a modo mio, dando spettacolo". Ecco, dando spettacolo. In un ciclismo che spesso, soprattutto nei grandi giri, vive di tattiche, di watt e calcoli, una vittoria come la sua rende giustizia agli attaccanti come lui, agli Alaphilippe, i Van der Poel, i Van Aert, ai ragazzi terribili come Evenepoel ( che sicuramente sarebbe stato protagonista in questo Giro), capaci di vincere facendo emozionare le persone. Sicuramente questo suo ritorno alla vittoria è stato celebrato quasi in maniera ossessiva, attirando le critiche di quanti probabilmente non riescono a riconoscere la grandezza del personaggio, ma questa non vuole essere un'apologia di Sagan. Uno sportivo come lui, che ha dato lustro a questo sport negli ultimi anni, merita solo il giusto rispetto. Le nuove leve del ciclismo stanno sbocciando, e forse quel Sagan brillante capace di dominare al Tour e nelle classiche non lo vedremo mai più, ma sarebbe scorretto non riconoscere in lui un monumento di questo sport, uno dei grandi. L'immagine per me più bella di Sagan rimane quell'urlo liberatorio dopo la vittoria alla Parigi-Roubaix del 2018. Quella fuga di 54 km lo ha consacrato alla storia, l'immagine di un vincente stampata nel cuore di molti. Forse la sua luce è meno forte di prima, ma la sua stella non smetterà mai di brillare e ispirerà ancora per molti anni le nuove generazioni. Sagan non è tornato, semplicemente non se n'è mai andato.


foto : BettiniPhoto

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